Molestie sessuali sul luogo di lavoro
La tutela antidiscriminatoria ha le proprie radici nei principi presenti nell’ordinamento nazionale in virtù degli art. 3, 37, 51 Cost., art. 15 Statuto lavoratori e raggiunge forza espansiva con l’impulso della normativa comunitaria.
Tuttavia, nonostante l’avanzata normativa in materia di pari opportunità, le condizioni lavorative delle donne hanno una significativa disparità di trattamento.
Per realizzare l’obiettivo dell’eguaglianza di genere sono stati individuati 5 settori prioritari:
- l’indipendenza economica uguale per uomini e donne;
- conciliazione della vita privata e professionale;
- rappresentanza uguale nell’assunzione di decisioni;
- eliminazione / contrasto alla violenza di genere;
- promozione della parità nelle pratiche esterne e di sviluppo.
Anche le molestie sessuali sono delle discriminazioni.
Infatti, in ambito giuslavoristico, le molestie hanno ricevuto un riconoscimento giuridico nell’art. 26 D.lgs. n. 198/2006 (Codice delle Pari Opportunità) che descrive i contorni del fenomeno delle molestie e precisa che esse sono considerate “discriminazioni fondate sul sesso”.
Tale articolo distingue due ipotesi diverse, individuando al comma 1 le molestie (semplici) e al comma 2 le molestie sessuali.
Sono considerate molestie sul luogo di lavoro “quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo” (art. 26, comma 1),
Sono, invece, molestie sessuali sul luogo di lavoro “quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo” (art. 26, comma 2).
Si capisce, pertanto, che le molestie non sono tipizzate e che non può rilevare il grado di consapevolezza che l’agente possa avere circa l’indesiderabilità della condotta.
I comportamenti molesti possono essere molto vari e diversificati, ad esempio:
- apprezzamenti offensivi;
- battute e/o gesti volgari;
- attenzioni o proposte insistenti ed indesiderate;
- ricatto sessuale, ovvero esplicite richieste di prestazioni sessuali, anche accompagnate da minacce, dalla cui accettazione o non accettazione dipenda una decisione riguardante il lavoro;
- molestie ambientali, capaci di creare un ambiente di lavoro intimidatorio, umiliante e ostile, anche in assenza di espliciti ricatti o richieste;
- atti di libidine e violenza sessuale.
Occorre evidenziare poi che la molestia dipende dalla sensibilità soggettiva della vittima.
E’ molestia anche se l’agente riuscisse a provare in termini comparativi che altri soggetti nelle stesse condizioni non avrebbero ritenuto indesiderabile quel comportamento.
Le donne più esposte alla molestia sono:
- le più giovani;
- nuove assunte;
- le single, nubili, separate e/o divorziate;
- le lavoratrici a tempo determinato o, comunque, coloro che lavorano con contratti flessibili;
- le appartenenti a razze differenti ;
- le lavoratrici portatrici di handicap;
- gli uomini (meno frequentemente).
Il fenomeno delle molestie va tenuto ben distinto da quello, molto diffuso, del mobbing, anche se nei singoli casi concreti, possano sicuramente esservi dei punti di contatto fra l’uno e l’altro.
Capita, infatti, spesso che le condotte di mobbing possano realizzarsi anche attraverso vere e proprie molestie sessuali ed allora appare problematico distinguere le due figure.
In Italia, sono un milione 404 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Rappresentano l’8,9% per cento delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione. (Fonte Istat)
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