9 Agosto 2023

LICENZIAMENTO e MATRIMONIO

Il licenziamento della lavoratrice effettuato per causa di matrimonio è nullo.

È considerato altresì nullo per causa di matrimonio il recesso intimato nel periodo intercorrente tra il giorno della richiesta di pubblicazioni fino ad un anno dopo la celebrazione (art. 35, D.Lgs. 198/2006).

Il datore di lavoro può provare che il licenziamento disposto nel corso del predetto periodo è stato determinato da altre ragioni: giusta causa; cessazione dell’attività aziendale; per fine del termine; per ultimazione dei lavori


Come è stato più volte affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, “il licenziamento intimato alla lavoratrice dall’inizio del periodo di gestazione fino al compimento di un anno di età del bambino in violazione della L. n. 1204 del 1971, art. 2, comma 2 è affetto da nullità, a seguito della pronuncia della Corte Cost. n. 61 del 1991, ed è improduttivo di effetti, con la conseguenza che il rapporto deve ritenersi giuridicamente pendente e il datore di lavoro inadempiente va condannato a riammettere la lavoratrice in servizio ed a pagarle tutti i danni derivanti dall’inadempimento, in ragione dal mancato guadagno” (ex multis v. Cass. 15-9-2004 n. 18537, Cass. 10-8-2007 n. 17606).
Inoltre, “Il licenziamento intimato alla lavoratrice in stato interessante costituisce un recesso “contra legem” e dunque assolutamente nullo, anche se il datore di lavoro sia inconsapevole dello stato di gestazione, perché non abbia ricevuto un certificato medico attestante la situazione personale della dipendente”. (Cass. 5749/2008 – Corte appello sez. lav. – Cassino, 30/09/2021, n. 782)

Del resto “il divieto di licenziamento di cui alla L. n. 1204 del 1971, art. 2 opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza o puerperio e, pertanto, comporta, ai sensi del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 54, comma 5 la nullità del licenziamento intimato nonostante il divieto” (Cass. 1-12-2010 n. 24349, Cass. 1- 2-2006 n. 2244).


Nel momento in cui la lavoratrice madre denuncia la violazione dell’art 54 del d.lgs. n. 151 del 2001 non deve fornire nessuna ulteriore motivazione dell’illegittimità del licenziamento per ottenere una sentenza ad essa favorevole, spettando, invece, al datore di lavoro provare la sussistenza di una delle ipotesi previste dall’art. 54 citato che consentono il licenziamento, come la colpa grave da parte della lavoratrice.


Sul punto si evidenzia che la disciplina di cui all’art. 54, comma 3, lett. a), d.lg. n. 151 del 2001 prevede che per la legittima risoluzione del rapporto da parte del datore di lavoro non è sufficiente la mera sussistenza di un giustificato motivo soggettivo ovvero di una fattispecie individuata dalla contrattazione collettiva quale giusta causa, dovendosi per contro verificare la presenza di quella colpa specificatamente qualificata dalla suddetta norma come “grave” e per l’effetto quindi diversa da quella considerata dai c.c.n.l. per i generici casi di inadempimento del lavoratore puniti con la sanzione espulsiva.


Per giurisprudenza oramai consolidata: “in tema di licenziamento della lavoratrice madre, la verifica in ordine alla sussistenza della colpa grave che ne rende inoperante il divieto ex art. 54, comma 3, lett. a), del d.lgs. n. 151 del 2001, in presenza di una fattispecie autonoma e peculiare, che non può ritenersi integrata da un giustificato motivo soggettivo ovvero da una situazione prevista dalla contrattazione collettiva quale generica giusta causa, deve estendersi ad un’ampia ricostruzione fattuale del caso concreto ed alla considerazione della vicenda espulsiva nella pluralità dei suoi diversi componenti, quali le possibili ripercussioni sui diversi piani personale, psicologico, familiare ed organizzativo della fase dell’esistenza in cui la donna si trova, con un rigore valutativo adeguato, ponendosi tale colpa come causa di esclusione di un divieto che attua la tutela costituzionale della maternità e dell’infanzia.” (Cass. Sez. L., n. 2004del26/01/2017; Cass. n. 19912/2011)

Impugnativa

Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro il termine di 60 giorni del ricevimento della comunicazione.


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AVVOCATO MATTEO MOSCIONI


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